venerdì 17 giugno 2011

L’Italia a rischio default

Ovvero la bancarotta finanziaria del suo sistema economico.
Mi preme, e con un certo vigore, mettere in luce i reali rischi di un collasso economico che il nostro paese a breve potrebbe subire. Questa mia nota, vuole dare un’informativa alla gente, affinché prenda coscienza, in maniera inequivocabile della reale s...ituazione economica in cui versa la nostra Nazione. Il principale pericolo, giunge dal pesante debito pubblico accumulato nell’ultimo decennio. L’Italia è la maggior minaccia all’Euro-zona ed un suo eventuale salvataggio, da parte dei paesi membri dell’area euro, sarebbe estremamente difficile.

Il nostro debito ha raggiunto la straordinaria cifra di 1.900 miliardi di euro, ben 5 volte superiore a quello della disastrata Grecia. Questo pesante fardello, che si sta avviando verso uno sbilancio del 120% rispetto al PIL (l’insieme dei beni e dei servizi che il nostro paese è in grado di produrre in un anno), è uno dei più pesanti al livello mondiale, impedisce allo Stato di indirizzare le sue risorse per ammodernare l’apparato pubblico, potenziare la rete delle sue infrastrutture, rendere efficienti i servizi sociali, promuovere programmi di sviluppo in settori strategici dell’economia come quello delle nuove tecnologie e della conoscenza, creando così nuova occupazione.

Secondo il trattato Maastricht lo sbilancio tra Pil e debito pubblico non deve superare il 60%. Quanto poi al disavanzo annuale, il limite è del 3% del Pil. Quest’anno l’Italia quasi lo raddoppiato superando largamente il 5%. Quanto alle entrate, che affluiscono sotto forma di tasse e contributi, esse non sono sufficienti a coprire sia le spese correnti che gli interessi sul debito accumulato in precedenza, si crea, come detto, un disavanzo nei conti pubblici. Lo Stato, in pratica, è costretto a ricorrere ai prestiti dei risparmiatori e soprattutto agli investitori esteri, offrendo ai sottoscrittori dei suoi titoli un rendimento appetibile e, quindi, indebitandosi ulteriormente.

Il debito pubblico, quindi, non è altro che l’insieme dei debiti contratti all’interno e all’estero dallo Stato, per finanziare i deficit annuali. In sostanza, è il totale del passivo accumulato nel corso del tempo, per far fronte al fabbisogno finanziario dello Stato. Se consideriamo che uno degli elementi che maggiormente incide è la spesa per interessi, ed il tasso d’interesse mediamente corrisposto è ben più alto del tasso del prodotto interno lordo, se ne deduce che tale debito non potrà essere mai sanato e continuerà a crescere sempre più.

Siamo in una fase in cui i tassi d’interesse sono ai minimi storici ed una delle maggiori preoccupazioni per il futuro, ha spiegato Mario Draghi, governatore della Banca D’Italia, è l’enorme volume di debito pubblico in scadenza nei prossimi cinque anni. Se per varie ragioni i tassi di interesse dovessero salire, con i bilanci delle banche non ancora risanati, e possono farlo per ragioni di politica monetaria e perché lo spazio per il risanamento durerà ancora diversi anni, allora sarebbe una cosa preoccupante se si considera che i debiti bancari sono dell’ordine dei trilioni, ai quali bisogna aggiungere il debito pubblico, allora potrebbe materializzarsi un rischio per i debiti degli Stati.

Se l’Italia avrà delle difficoltà a gestire il deficit, diventerà inevitabilmente l’anello debole della catena, un bersaglio facile per eventuali attacchi speculativi al sistema dell’euro. I paesi membri della moneta unica, stanno già intervenendo a sostegno della Grecia, l’Italia partecipa con un aiuto di 15 miliardi. Difficile sarebbe un intervento aggiuntivo per salvare la nostra nazione tenuto conto che nei prossimi cinque anni l’Italia dovrà rimborsare circa 720 miliardi di capitale pari al 40% dell’intero ammontare del debito pubblico. Se i mercati non dovessero più sostenere le nuove emissioni allora lo Stato italiano diventerebbe insolvente ed i riflessi sull’economia sarebbero disastrosi.

Se consideriamo che circa il 50% del debito è nelle mani dei nostri investitori istituzionali come banche, fondi pensione, assicurazioni famiglie ed imprese una tale perdita di capitale indurrebbe gli stessi a richiedere rimborsi anticipati dei crediti nei confronti di altri emittenti lo stesso farebbero gli investitori esteri. In tale situazione la moneta unica subirebbe un tracollo, per il rischio di contaminazione, i mercati cercherebbero di disfarsi degli strumenti finanziari in euro. Più del 50% della spesa corrente è assorbita dai servizi pubblici come la scuola e la sanità ci troveremmo con centinaia di miglia di posti lavoro a rischio. Un effetto domino colpirebbe il sistema economico del paese; tutte le attività produttive subirebbero un arresto, la contrazione dei consumi interni ridurrebbe sensibilmente il gettito fiscale.

In un contesto così articolato l’Italia potrebbe uscire dalla moneta unica e ritornare alla vecchia lira. Non avendo più debiti da rimborsare, per via del default, e dovendo rilanciare l’economia, potrebbe svalutare notevolmente la nuova moneta favorendo così l’esportazioni per le imprese. Di fronte a tale situazione altri paesi per evitare la chiusura delle imprese e mantenere la competitività di mercato potrebbero seguire l’Italia.

Uno scenario a dir poco apocalittico, se consideriamo che la classe dirigente poco fa per cercare di allontanare un tale spauracchio, presa più a risolvere le questioni giudiziarie di singoli membri della maggioranza di governo. Negli ultimi anni, gli esecutivi che si sono alternati, hanno agito intervenendo sulla finanza pubblica mediante l’aumento della pressione fiscale o con tagli alla spesa, in molte circostanze, si è fatto ricorso alle dismissioni del patrimonio immobiliare degli Enti Previdenziali pubblici, ai condoni di varia natura ivi compresi il rientro dei capitali portati all’estero, sono aumentati i controlli da parte della guardia di finanza nel tentativo di contrastare la lotta all’evasione fiscale.

Nonostante l’applicazione di tali provvedimenti il disavanzo pubblico è rimasto elevato. Secondo l’associazione di consumatori l’evasione del fisco aumenta sensibilmente. Nei primi quattro mesi del 2010, l’imponibile evaso in Italia è cresciuto del 6,7% ed ha raggiunto l’ammontare di 371 miliardi di euro l’anno. In termini di imposte sottratte all’erario siamo nell’ordine dei 156 miliardi di euro l’anno. È questa la stima calcolata da KRLS Network of Business Ethics per conto di Contribuenti.it – Associazione Contribuenti Italiani che con Lo Sportello del Contribuente monitora costantemente il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia. Cinque sono le aree di evasione analizzate: l’economia sommersa, l’economia criminale, l’evasione delle società di capitali, l’evasione delle big company e quella dei lavoratori autonomi e piccole imprese.

La prima riguarda l’economia sommersa che sottrae al fisco italiano un imponibile di circa 135 mld di euro l’anno. L’esercito di lavoratori in nero è composto di circa 2,4 milioni. Di questi 850.000 sono lavoratori dipendenti che fanno il secondo o il terzo lavoro. Si stima un’evasione d’imposta pari a 34 mld di euro. La seconda è l’economia criminale realizzata dalle grandi organizzazioni mafiose che, in almeno 4 regioni del Mezzogiorno, controllano buona parte del territorio. Si stima che il giro di affari non “contabilizzati” si attesta sui 178 miliardi di euro l’anno con un’imposta evasa di 63 mld di euro. La terza area è quella composta dalle società di capitali, escluso le grandi imprese.

Dall’incrocio dei dati è emerso che l’81% circa delle società di capitali italiane dichiara redditi negativi (53%) o meno di 10 mila euro (28%). In pratica su un totale di circa 800.000 società di capitali operative l’81% non versa le imposte dovute. Si stima un’evasione fiscale attorno ai 18 mld di euro l’anno. La quarta area è quella composta delle big company. Una su tre ha chiuso il bilancio in perdita e non pagando le tasse.
Inoltre il 94 % delle big company abusano del “transfer pricing” per spostare costi e ricavi tra le società del gruppo trasferendo fittiziamente la tassazione nei paesi dove di fatto non vi sono controlli fiscali sottraendo al fisco italiano 31 mld di euro. Negli ultimi quattro mesi, le 100 maggiori compagnie del paese hanno ridotto del 10 per cento le imposte dovute all’erario.
Infine c’è l’evasione dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese dovuta alla mancata emissione di scontrini, di ricevute e di fatture fiscali che sottrae all’erario circa 10 miliardi di euro l’anno. Come più volte sostenuto, per garantire all’erario il giusto apporto tributario servirebbe rendere tracciabile ogni singola operazione di commercio. Per fare questo basterebbe togliere dalla circolazione il contante liquido ed obbligare, tramite una legge, le operazioni di compravendita mediante l’ausilio di carte elettroniche e bonifici bancari.
Per semplificare tali operazioni per spese inferiori ai 100 euro basterebbe solo la strisciata della carta con rilascio immediato della ricevuta, oltre i 100 euro introduzione del codice pin.
Ogni singola operazione a quel punto porterebbe nelle casse dell’erario la sua percentuale di tributo. I benefici di tale provvedimento sarebbero indiscussi. Il primo fra tutti è che nel giro massimo di dieci anni si ridurrebbe drasticamente il debito pubblico allontanano così lo scenario catastrofico sopradescritto. Un provvedimento sì fatto sottrarrebbe alla criminalità organizzata la linfa vitale di cui si nutre, “il denaro”; niente più spaccio di droga per le strade, niente più sfruttamento della prostituzione niente più attività illecite di nessun genere, riduzione della spesa pubblica per la lotta al crimine organizzato. Si costituirebbero le basi per abbassare la pressione fiscale dal momento che tutti pagherebbero le tasse tutti pagherebbero meno tasse.
Si creerebbero nuove opportunità di lavoro nel campo della rete informatica per la salvaguardia della sicurezza, maggiori investimenti nella ricerca e così via discorrendo. Ma per applicare una soluzione di questo tipo occorre una forte volontà popolare una pressione costante che induca il governo ad un tale provvedimento. E’ tempo che la gente prenda coscienza dei rischi reali a cui va incontro, che si risvegli dal torpore durato troppi anni, la popolazione si riprenda questo paese, elegga rappresentanti che siano in grado di tutelare gli interessi comuni, uomini e donne che siano capaci di un rilancio serio dell’economia che siano una valida alternativa ad una classe politica che ci sta portando dritti verso la catastrofe, occorre ricordarsi che quando la nave affonda i topi sono i primi ad abbandonarla, mentre i passeggeri soccombono.
Il popolo in questa nazione è ancora sovrano ed è tempo di dimostrarlo, manifesti il proprio dissenso mettendo alla porta gli incapaci e gli approfittatori e dia vita ad un nuovo rinascimento.
E.D.

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[Riforma fiscale, Maroni: "Tenere conto delle richieste di Cisl e Uil"]
Economia & Lobby
18 Giugno 2011
Fisco, gli analisti sfiduciano il governo
Ma Calderoli dice: "Giù le tasse o a casa"

"L'esecutivo non ha più il consenso per sostenere una politica di rigore, abbasseremo il rating dell'Italia". A 12 ore dall'avvertimento dell'agenzia Moody's, ecco la conferma dell'ingovernabilità: il ministro della Semplificazione e i sindacati "amici" Cisl e Uil danno l'aut aut alla linea di Tremonti


L’annuncio diramato ieri sera dall’agenzia di rating Moody’s va nella stessa direzione del dossier pubblicato la scorsa settimana dall'Economist (leggi l'articolo), con un’aggravante: l’incapacità recentemente dimostrata dal governo di ottenere "approvazione pubblica per le proprie politiche". In poche parole, nei prossimi mesi l’austerità di Tremonti potrebbe scontrarsi con il disperato bisogno del premier di recuperare consensi allentando la pressione sul budget (leggi l'articolo di Mauro Meggiolaro). Ma non passa nemmeno una giornata e dal governo stesso arriva la conferma ai timori di Moody's. Il ministro leghista Roberto Calderoli si accoda agli attacchi di Cisl e Uil chiedendo subito la riforma fiscale. E paventando, in caso contrario, la caduta del governo (leggi l'articolo). Insomma, mentre gli analisti dicono che l'unica strada è costituita dalla linea del rigore di Tremonti, all'interno del governo (e a partire dal premier) ci sono pressioni sul ministro dell'Economia affiché allarghi i cordoni della borsa. Anche se questo significa andare dritti verso il default.


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